Un approccio al neuromarketing.
Etico
Sostenibile
Organizzato
Il marketing ha da sempre attinto da molteplici discipline quali la psicologia, la sociologia, l’antropologia, l’economia e la semiotica. Con l’avvento, prevalentemente dagli anni novanta, delle neuroscienze, si è creata una nuova disciplina chiamata neuromarketing. Esso porta potenzialmente una serie di opportunità per indagare i bisogni e i desideri del consumatore, analizzare la concorrenza, sviluppare strategie di marketing e branding di successo.
Quanto importanti sono le emozioni? Decisamente importanti, in un processo d’acquisto, che nel passato era spesso collegato ad un processo del consumatore razionale. Quando capiamo questa relazione, tra ragione ed emozione, possono entrare in gioco le neuroscienze. E quando esse riescono a dare un contributo al marketing, all’advertising, al branding si può parlare di neuromarketing.
Cos’è il neuromarketing allora?
Usiamo le parole di Mariano Dotto per descriverlo: “Il neuromarketing è una disciplina rivolta all’individuazione di canali comunicazione che permettono di realizzare processi decisionali di acquisto mediante l’utilizzo di metodologie legate alle neuroscienze, al marketing, all’advertising e alla semiotica”.
Emozioni, ricordi, percezioni sensoriali, preferenze, motivazioni e decisioni di acquisto, sono alla base degli studi di neuromarketing. La grande domanda: cosa porta veramente all’acquisto? La stessa alla quale prima si rispondeva con le indagini tradizionali di marketing, spesso fondate sul fatto che i processi di scelta sono riconoscibili, decodificabili e dichiarabili.
Il neuromarketing quindi sostituirà le tradizionali indagini di mercato? I sostenitori di queste ultime possono stare tranquilli. “Il neuromarketing non sostituirà la ricerca di mercato tradizionale perché entrambi gli strumenti sono complementari e accedono a diversi livelli di informazione del cliente”: l’indagine tradizionale indaga il livello informativo cosciente, il neuromarketing accede al livello informativo non cosciente.
Indubbiamente il neuromarketing è, da un po’ di anni, argomento attuale e alimenta molte aspettative. Questo probabilmente dipende dalla sua forte componente scientifica e oggettiva e dal fatto che studi primariamente il cervello dei clienti. “Dopo venti anni di studi scientifici il neuromarketing si presenta come una disciplina più profonda di quanto si possa pensare e può offrire a chi si occupa di marketing in maniera professionale la possibilità di avere più attrezzi nel proprio bagaglio di strumenti e quindi l’opportunità di capire meglio e ridurre il gap esistente tra cliente e brand”, cioè esattamente quello spazio in cui lavora un marketing manager. Ma come ogni novità, esso porta con sé uno strascico di conseguenze, a partire dalla nascita di nuovi e sedicenti esperti e/o agenzie che fino a qualche anno fa non distinguevano un marchio da un brand. Per questo, a scanso di equivoci, proponiamo il seguente approccio:
Etico, perché esso deve cambiare l’azienda e non il consumatore. Anche qualora le aziende, attraverso il neuromarketing riuscissero a prevedere in modo sempre più preciso le scelte dei consumatori, non devono dimenticare che le persone non sono un mezzo ma un fine. Dovranno aiutarli a ottenere i prodotti che vogliono, più semplicemente e più efficacemente, non certo manipolandoli. La previsione del comportamento è diversa dalla coercizione, il neuromarketing non può fornire alcun percorso speciale che renda i consumatori incapaci di controllare le proprie azioni. Pertanto, sbaragliando il campo dall’illusione di poter decidere per il consumatore, il neuromarketing mette al centro del progetto la persona con il suo cervello, in modo scientificamente valido, offrendo la possibilità alle aziende di mettersi davvero nei panni dei clienti, di conoscere le emozioni che provano costruendo con essi un rapporto che apporti il giusto valore ad entrambi.
Sostenibile. Il neuromarketing deve essere utile e affrontabile. In primis in relazione alle dimensioni del mercato, perché il sistema di ricerche necessario per attuare la disciplina prevede una serie di indagini non alla portata di tutti. In secondo luogo bisogna capire quando esso può servire o meno. Non sempre il neuromarketing è utile o fattibile. Perché gli ambiti di studio sono limitati al brand, al prodotto, al retail, alle motivazioni e alle decisioni di acquisto. E oltre a sapere prima cosa cercare, le estensioni dei risultati per la costruzione di strategie di branding, di posizionamento, di advertising, richiedono l’articolazione di un mix di competenze (anche umanistiche non necessariamente scientifiche) non semplici da trovare sul mercato.
Organizzato. Senza troppi giri di parole, il neuromarketing, a livello pratico, richiede l’accesso a studi scientifici appropriati e a ricerche di neuromarketing idonee. In altre parole, dietro a tutto ciò ci deve essere un laboratorio di neuromarketing attrezzato che dispone di tecnologie e strumentazioni affidabili e che permetta compiutamente l’ideazione, lo sviluppo, lo studio e il controllo di un evento obiettivo.
Al di fuori di ciò si rischia di parlare di neuromarketing come dell’ultima moda o tendenza o novità (esattamente ciò che non è) e di bistrattare ancora il marketing stesso nella sua essenza, rimandando o ancora peggio snaturandone la validità e la potenza all’interno di un’azienda. E sappiamo bene, invece, quanto le aziende abbiano ancora bisogno di fare un buon marketing.
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