I grandi bluff nel marketing. Il marketing politico, il marketing turistico, il cliente, le derive strategiche. Le agenzie creative e i freelance inutili. Vediamone alcuni.
Il bluff del marketing turistico. Se ne parla tanto, si sono organizzati talmente tanti corsi, convegni e seminari sull’argomento che oggi dovremmo essere pieni di esperti e soluzioni e godere di un turismo avanzatissimo. In realtà il nostro beneamato Paese, museo a cielo aperto, pieno di città d’arte, migliaia di chilometri di coste, dalla storia illustre e forse sconosciuta ai più, non riesce a vivere di turismo, di quello organizzato che porta ricchezza e la distribuisce, crea opportunità e valore aggiunto. Dobbiamo invece guardare all’estero, agli esempi illustri della Spagna (vedi Barcellona o la Costa del Sol) o ancora al turismo in Portogallo, compreso quello religioso, o nella Loira francese o ancora vedi la Grecia. Mancano le infrastrutture, manca la cultura del marketing, manca la politica e il buon governo che dovrebbe sovraintendere a tale incommensurabile ricchezza. In una terra ad altissima vocazione turistica mancano gli esperti di marketing nelle stanze dove si decide e si pianifica. Gli esperti non sono gli invitati ai convegni o ai seminari, ma gli imprenditori, conoscitori del territorio e delle regole di mercato, dei network internazionali. Il marketing turistico è un bluff perchè chi ne parla pensa sia un filone a se stante scevro dalle regole tradizionali del marketing, in primis branding e posizionamento. La comunicazione di un territorio presuppone invece un’identità e un’immagine forte, ben pianificata e gestita, all’interno di un processo di marketing complesso e articolato non delegabile a manager pubblici, politici, professori universitari o a bandi regionali/comunitari. Diventa turistico il marketing quando si entra nella logica di servizio, nella promozione, nei canali di trade, nei network e nell’organizzazione delle infrastrutture ma prima è marketing, riscontrabile in quei due tre concetti empirici che caratterizzano poi tutti i settori del business. A parte lodevoli eccezioni territoriali, c’è ancora un gran da fare e reali opportunità di crescita stabile.
Il bluff del marketing politico. Se la politica fosse un argomento serio riceverebbe dal marketing un grosso contributo. Poichè il marketing lavora su cose reali e non generiche promesse va da sé che chi parla di marketing politico oggi ha il suo bel da fare. In politica esiste tutto e il contrario di tutto. Le variabili in gioco infatti non sono governabili e soprattutto fanno parte di meccanismi sociali anomali e deviati. Oggi in politica, in Italia, il marketing o la comunicazione può far molto poco. La gente disillusa, i valori calpestati, le promesse non mantenute, la pessima reputazione dei politici spesso confermata da esperienze poco adamantine. Per questo si assiste spesso a campagne politiche paradossali e senza senso almeno per un pubblico in grado di speculare con raziocinio e dotato di memoria (ma questo è un altro discorso). Un problema serio quello della politica in Italia. Negli anni ci sono stati illustri tentativi, in fase di elezione, andati a buon fine, per quanto il prodotto abbia poi deluso immancabilmente le aspettative. Anche in tal caso bisogna riferirsi a casi di marketing politico molto in là nel tempo o presi dall’estero (Obama 2008 su tutti). Anche in tal caso prima di parlare di marketing politico con le sue proprie logiche bisognerebbe anticipare alcuni argomenti del marketing classico per evitare che quello applicato alla politica si riveli un vero e proprio bluff.
Ignoranza del marketing. Fenomeno da sempre appartenuto alle piccole medie imprese oggi dilaga anche nei grandi gruppi multinazionali. Non è un caso che gran parte delle marche leader siano in rosso da anni o comunque in grosse difficoltà. Aziende che non sanno più che pesci prendere e che, come nel più classico dei circoli viziosi, si fanno guidare da agenzie più orientate alla pubblicità che al marketing in senso stretto. Il che dovrebbe anche essere normale se si vanta un reparto marketing aziendale degno di tal nome. Ma sovente non è così. Le dimensioni, l’organizzazione, la componente umana in queste realtà non aiuta. Discorso complesso non affrontabile in così poche righe. Dovremmo infatti parlare di un sistema economico che non ha favorito la crescita di multinazionali italiane e/o di aziende-scuola dalle quali una volta uscivano manager con ben altra preparazione, la mancanza di una formazione post-universitaria valida e seria e non affidata a improvvisati, ecc. ecc. Ma è un problema serio che ha portato il marketing italiano indietro di 30 anni prima ancora che due giovani professori italiani contribuissero alla nascita del marketing strategico (ndr. Per i curiosi parliamo di Valdani prima e Vicari dopo).
Il cliente questo sconosciuto. Non sempre capita ma anche i clienti spesso sono un grande bluff. Sono coloro che non sanno vedere il lavoro che c’è dietro ad un programma di marketing. Sono coloro che non hanno budget a disposizione e pensano che una campagna possa attuarsi per miracolo. Sono coloro che approfittano della crisi e non pagano, o ritardano i pagamenti. Il marketing e la comunicazione non ha bisogno di questi clienti e questi clienti non hanno bisogno del marketing.
Le chimere strategiche. Quando un marchio diventa di successo, noto, visibile è facile essere avvicinati da una serie di pseudoagenzie, pseudoesperti che offrono opportunità, incrementi, miglioramenti, risoluzioni di problemi, alcuni dei quali peraltro inevitabili quando si cresce di dimensione. Nella gran parte dei casi chi si avvicina promettendo chissà quali risultati si rivela poi un imbonitore della peggior specie. Ho visto numerose situazioni avviate benissimo e poi ad un certo punto dopo qualche anno arenarsi miseramente e in parte distruggere quanto creato per cattivi consigli di consulenti marketing idioti che si mascherano da professionisti solo perchè recitano qualche nozione, vantano chissà cosa, vestono e parlano più o meno bene. Se ne conoscono tanti purtroppo, veri e propri bluff. La chimera strategica è sempre in agguato, in modo particolare per le piccole imprese e dovrebbe essere l’esperienza dell’imprenditore e la sua capacità di distinguere il vero dal falso ad arginare l’esistenza di questi fuffa-truffaldini.
Le derive strategiche. Se le chimere strategiche riguardano l’aspetto socio-psicologico delle aziende, le derive strategiche nascono da errori clamorosi di marketing. Un esempio su tutti le estensioni di linee dei marchi che se non sostenute da precise logiche di marketing fanno più danni che altro. Trascurare il posizionamento è un’altra situazione che alla lunga porta alla deriva, ma nel marketing le derive strategiche possono essere tante e non sempre facilmente identificabili da occhi non esperti. La differenza tra un errore di marketing e una deriva strategica è nella gravità del danno. L’errore strategico infatti crea problemi non facilmente risolvibili e se trascurato porta inevitabilmente al collasso. Da qui la parola “deriva”.
L’esistenza inutile dei freelance e delle agenzie creative. Ne ho scritto ampiamente nell’articolo Il grande bluff delle agenzie creative e dei freelance. Qui aggiungo che il fenomeno è trasversale (riguarda le agenzie creative di qualsiasi dimensione) e riscontrabile in ogni latitudine. Il mondo pubblicitario continua ad essere investito di campagne inutili, ridondanti, effimere. I casi di marketing e di comunicazione di successo si contano sulle dita di una mano. Questa giungla di agenzie e di freelance, nati grazie alla frammentazione derivante dalla crisi sociale, economica e tecnologica, non fanno che inquinare il mercato. Spesso il mercato opera un disboscamento, una sorta di selezione naturale, ma la giungla è fitta ed impervia.
A complicare le cose la mancanza di agenzie-scuola dalle quale mutuare modus operandi esemplari e vincenti, esattamente come avveniva negli anni ’60-70 negli Usa e a Londra e negli anni ’80 in Italia.
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