Parte 2. Gli effetti della pubblicità. Da Aida a Rossiter passando per Vaughn.

Anche il modello Aida rientra tra quelli lineari. Dai livelli cognitivi a quelli affettivi a quelli conativi, ovvero dal capire chi e cosa, si passa a ciò che si sente e poi alla prova/consumo/acquisto/riacquisto. La semplicità è alla base del successo del modello Aida, sviluppato nel 1950. Attenzione, Interesse, Desiderio, Acquisto. Prima di decidere un acquisto il consumatore deve conoscere il prodotto, cosa fa e dove trovarlo; successivamente deve essere stimolato  ad interessarsi. La pubblicità deve quindi suscitare l’attenzione, l’interesse e se riesce a collegare benefici del prodotto con i bisogni del consumatore, far scattare il desiderio d’acquisto. La gerarchia degli effetti della pubblicità (Hierarchy of effects) è un modello più articolato perchè aggiunge alcuni livelli intermedi quali comprensione e preferenze. C’è da dire che la classica sequenza gerarchica non è sempre rispettata in tutti i casi. Il consumatore può partire, anzichè dalla conoscenza/affezione/azione, dall’azione per poi interessarsi di ciò che ha acquistato e poi chiedersi se ha fatto bene (prodotti a basso coinvolgimento), oppure dalla fase affettiva all’acquisto e poi alla conoscenza per prodotti molto coinvolgenti a forte impatto emotivo. Insomma le reazioni possono variare a seconda del prodotto, del mezzo e del messaggio. Per questo sembra più utile ricorrere al modello di Vaughn (1980), il quale considera quattro aree definite da due semplici variabili: il grado di coinvolgimento del target (alto/basso) e la presenza di fattori razionali o emotivi. Il coinvolgimento è alto per prodotti costosi, innovativi, rischiosi, sociali. Grazie al grafico che si ottiene incrociando tali fattori si generano 4 quadranti nei quali trovano posto prodotti, marchi, categorie di prodotti. Ogni quadrante ha una sua sequenza di elaborazione: sentire/conoscere/fare per i prodotti ad alto coinvolgimento emotivo quali gioielli, auto sportive oppure fare/sentire/conoscere per prodotti a basso coinvolgimento emotivo quali caramelle, gelati, patatine, ecc. Tutto risolto quindi? No. I prodotti si spostano, per una strategia di marca, quando un’azienda decide ad esempio di spostarsi dal coinvolgimento al razionale perchè c’è affollamento tra i prodotti emotivi oppure per motivi del consumatore stesso costretto ad esempio a cambiare marca. Insomma entrano in gioco altre variabili quali la natura del prodotto, la strategia di marca e il vissuto del consumatore, considerate invece dal modello Rossiter & Percy, introdotto nel 1997.

(fonti: Joyce, Steiner, Vaughn, Percy, Rossiter in M. Lombardi).

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Luca Scrimieri

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