Più di 60 anni di marketing dovrebbero aver insegnato qualcosa. Le imprese dovrebbero averne fatta di esperienza, per poter affrontare il mercato nel miglior modo possibile. All’inizio era Orientamento alla produzione, poi alle vendite, poi al mercato. Poi il consumatore “RE” e tutte le varie tipologie di marketing che si sono costruite intorno ad esso.
Un processo di marketing che vedeva nella ricerca sino al posizionamento il paradigma principale della disciplina. Chi si organizzava intorno a tale processo riusciva ad affacciarsi sul mercato con successo. Era così. Le aziende dominavano la scena e vedevano i consumatori come un target, in una comunicazione unidirezionale dove le prime si elevavano a conoscitrici dei bisogni e alla loro soddisfazione.
Poi la rete nuova attrice protagonista, l’evoluzione della tecnologia, la rivoluzione Social con consumatori più attenti, più preparati, più informati, e ancora la crisi economica, la forte tensione sui prezzi, la modifica dei comportamenti e quindi da parte delle aziende la difficoltà di comprendere il mercato, l’ancoraggio a strutture teorico-pratiche del passato, la mancanza di flessibilità strategica.
Tutto ciò oggi ha portato ad una paradossale situazione. Dopo vari lustri assistiamo ad aziende che praticano ancora un marketing neanderthaliano (ndr. quando esiste) ed altre che invece si muovono verso un marketing post-moderno.
Le prime brancolano nel buio. Le riconoscete perché parlano ancora di prodotto, di servizio, di estensioni di gamma, di qualità, di riorganizzazione. L’incapacità degli imprenditori sommata all’ignoranza delle nuove tecniche, si riflette sull’incompetenza dei manager, (ndr. anche questi quando ci sono), e la conseguenza è un boomerang esplosivo sui prodotti, sui metodi e processi, sulle perfomance di vendita, sui dipendenti.
Le seconde invece hanno preso coscienza della difficoltà, cercano di capire e utilizzare le tecnologie, abbinandole ad una dose massiccia di creatività creando nuovi tentativi, nuovi approcci. Anche queste però, non essendovi percorsi tracciati, rischiano di perdersi. A loro va riconosciuto il merito di aver acceso una piccola luce nelle tenebre.
La complessità è tale e i margini talmente bassi da impedire qualsivoglia ambizione. Per questo si assiste a debacle di brand epici e, allo stesso tempo, alla folgorante ascesa di improbabili start-up. Il caos insomma.
Un recupero dei fondamentali, sia di marketing che di management, sarebbe auspicabile. Igor Ansoff già nel lontano 1987 “individuava nella risposta all’imprevisto la principale sfida strategica aziendale per il decennio successivo”. Pochi lo hanno ascoltato. Come Theodore Levitt che, nel suo Marketing Myopia, tracciava già nel lontano 1960 un limite di questa disciplina che “tesa a conseguire risultati nel breve appare inadatta a guardare lontano, a vedere oltre ed immaginare prospettive”.
Una rilettura attenta degli stessi per poi traslarne le conclusioni nel nuovo AMBIENTE, dell’#unconventional, del #digital, del #marketing #esperienziale e via discorrendo, sarebbe opportuna. Per non sprecare una piccola possibilità di uscire dalla crisi.
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